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La dimensione spirituale della cura e dell’esperienza di malattia: convegno a un anno dall’inaugurazione al Cotugno della prima sala multiculto della Campania.

La dimensione spirituale della cura e dell’esperienza di malattia: convegno a un anno dall’inaugurazione al Cotugno della prima sala multiculto della Campania.

Pregare per sé o per un congiunto, per una persona a cui si vuole bene, partecipare emotivamente all’esperienza della malattia, condividere le pene dello star male quanto è importante per guarire e per soffrire di meno quando ci ammala?

Sono questi gli interrogativi a cui hanno cercato di dare una risposta  La Fondazione San Giuseppe dei Nudi e l’Associazione “Compagni di Viaggio” che hanno organizzato nei giorni scorsi a Napoli,  presso il complesso monumentale di san Giuseppe Dei Nudi, un convegno sull’importanza della dimensione spirituale nell’esperienza di malattia. Dopo i saluti di Ugo de Flaviis presidente della  Fondazione ospitante e di Fabrizio Capuano, che guida l’associazione Compagni di viaggio sono intervenuti tra gli altri Alberto Vito, responsabile dell’unità semplice dipartimentale di Psicologia Clinica dell’azienda ospedaliera dei Colli, il teologo Gennaro Matino, che ha approfondito il tema  affermando come scienza e fede possano procedere unite e non in contrapposizione nella cura dell’umano. “La cura dell’altro, ha aggiunto, è l’espressione più alta dell’amore”. Al dibattito sono intervenuti anche da un lato esponenti di diverse comunità religiose presenti in Campania (Enzo Lionetti per la Curia arcivescovile di Napoli, il rabbino Cesare Moscati, Silvio Cossa della comunità Baha’i, Li Xuanzong, prefetto Chiesa Taoista d’Italia, Gino Vitiello, comunità Dzochen) ma anche medici come Roberto Parrella, infettivologo del Cotugno e psicologi e filosofi che hanno  ribadito, ciascuno dalla propria posizione culturale, quanto il riconoscimento dei bisogni spirituali dei pazienti, spesso sottaciuto negli ultimi decenni per motivazioni culturali, rappresenti  una modalità operativa importante per curare le persone e non solo le malattie. Tra questi ultimi il nostro Franco Ascolese presidente dell’Ordine delle professioni sanitarie di Napoli, Avellino, Benevento e Caserta a nome della fondazione studi e ricerca Valetudo di cui l’Ordine è ente patrocinante.

Folta e partecipata la presenza del pubblico, che ha suggerito l’opportunità di altri incontri  su una tematica tanto ricca e affascinante.

L’evento si è tenuto a distanza di un anno dall’inaugurazione della Sala Multiculto e del Silenzio dell’Ospedale Cotugno. Quest’ultimo è un ambiente neutro, privo di riferimenti religiosi, dedicato alla preghiera e alla meditazione dei credenti in diverse fedi religiose, la prima realizzata in un ospedale campano.

Alberto Vito ha sottolineato come gli operatori sanitari sappiano meglio di altri quanto nell’esperienza di malattia emergano con più forza i bisogni spirituali, che rappresentano sia un conforto che un’occasione di riflessione sulle proprie esigenze esistenziali. “Compito degli operatori sanitari – ha spiegato – è aiutare i pazienti a convivere meglio possibile con la malattia e, in tal senso, i bisogni personali e soggettivi vanno sostenuti.

La relazione del presidente

“La creazione di Sale Multiculto – ha aggiunto Ascolese – nasce dalla consapevolezza ormai sempre più diffusa di quanto il concetto di salute debba comprendere non solo il benessere psicologico e relazionale dell’individuo ma anche la dimensione spirituale della salute. Ovviamente, l’importanza dei bisogni spirituali deve valere per tutti e, presa atto della dimensione sempre più multietnica e multiculturale anche della nostra città, tali bisogni vanno rispettati con la creazione di spazi condivisi quali le Sale Multiculto.

Da sociologo – ha poi aggiunto – ho seguito nella mia formazione la scuola Antropologica -Trasformazionale di  Sergio Piro. Ecco voglio per questo citare Sergio Piro quando diceva che «Si deve lenire la sofferenza, ma è necessario non distruggere la coscienza della crisi, la parte più densa di senso di quell’esistenza. La crisi è una modalità turbinosa di trasformazione, una strettoia metagogica pericolosa. Il nemico viene, in tutta la sua potenza e in tutta la sua enigmaticità, dal magma del grande inespresso continuamente fluente».

Confrontarsi con le persone sofferenti, ferite dalla angoscia, dall’ isolamento, dalla paura e dalla disperazione, dai deliri e dalle allucinazioni, richiede di saper decifrare cosa ci sia, cosa riviva, nella interiorità di chi sta male e ancora di aprirsi o almeno di tentare di aprirsi, alle emozioni nascoste e segrete che gridano nel silenzio delle persone. La linea segreta di ogni cura dovrebbe essere questa: sensibilità a cogliere i significati dell’altro che non si vedono nella realtà, a intravedere lo stupore, le lacrime, i silenzi che a volte riempiono di sé un sorriso, e che danno al sorriso la sua profondità e il suo timbro autentico e doloroso.

Senza la ricerca di quello che ci unisce (o divide), al di là di ogni profonda differenza (disparità), non si riesce ad agire una “cura radicale e profonda”: non si riesce nemmeno a salvaguardare la nostra interiorità che tende fatalmente a inaridirsi a rifugiarsi nel nulla (banalità) e a spegnersi. Sono le emozioni in noi – ha poi concluso – che si permettono di cogliere il pathos,  sono le emozioni falciate dal dolore e dalla angoscia in chi disperatamente chieda di essere curato e, prima di questo, di essere accolto e di essere riconosciuto nella disperazione dolorosa a darci la dimensione dello scambio.

Non è facile interpretare il linguaggio della sofferenza se si è armati di pregiudizi, i suoi diversi linguaggi occulti e oscuri, se non ci si educa ad ascoltare le regioni segrete dei pensieri, della consapevolezza, dei volti e degli sguardi: gli orizzonti sconfinati della vita emozionale sono così lontani da quelli della vita razionale e dalla ragione. Ecco spiegato dunque cos’è questo quid di Salute che la partecipazione alle sorti del prossimo rappresenta.

I dibattiti sull’umanizzazione delle cure restano troppo spesso parole vuote che confliggono con la realtà clinica e le difficoltà organizzative di una sanità che esce con le ossa rotte dalla crisi pandemica. Il mio Ordine accoglie e rappresenta 18 profili prodessionali che oscillano dai tecnici sanitari di radiologia che effettuano quotidianamente centinaia di indagini che individuano decine di casi di tumore, ai perfusionisti che guardano negli occhi un infartuato prima di un’angioplastica mentre le famiglie attendono con la speranza negli occhi e la preghiera nel cuore una possibilità di vita. Ecco in questo scambio profondo, umano, in questo distillato di piccoli gesti e parole pregni di significati, è custodito l’atto SACRO della condivisione che sostiene e cura. Un nuovo volto del professionista sanitario delle 18 professioni sanitarie che ne fa oggi un protagonista per le sue conoscenze e la sua organizzazione di lavoro. Un professionista consapevole che coopera col paziente alla riuscita della cura.

L’arte di porgere, di persuadere, di dialogare in modo coinvolgente. Il dialogo diventa parte integrante del trattamento diagnostico e la parola, il suo tono, i suoi modi, la semplice espressione del volto del Tecnico diventano le prime “armi terapeutiche”. Tutto ciò non deve sembrare semplice retorica, ma consente di creare una vera e propria alleanza col paziente e anche con il suo mondo e questo scambio spirituale cura, lenisce, soccorre, accoglie. Questo il senso profondo che accomuna tutti gli operatori sanitari nel loro ruolo di curante”.   

Un dibattito insomma snodatosi tra rappresentanti di diverse comunità religiose e operatori sanitari nella consapevolezza che l’attenzione ai bisogni spirituali dei pazienti è parte essenziale della cura non solo della malattia ma delle persone.

Sotto la lente approcci, riti e relazioni per poter stare dentro l’esperienza della malattia in una modalità pienamente umana, puntando l’attenzione sui bisogni spirituali dei pazienti come parte essenziale della cura, non solo della malattia, ma delle persone. 

L’evento si è svolto anche in memoria di Annamaria Ruberti, socia fondatrice di Compagni di viaggio.

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