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Dal MIT una mano robotica sensibile al tatto

Dal MIT una mano robotica sensibile al tatto

Il tatto è un senso fondamentale nella regolazione che il cervello fa dei movimenti della mano, soprattutto in termini di forza e tipologia di presa. Per questo gli ingegneri biomedici di tutto il mondo lavorano da tempo alla realizzazione di protesi robotiche capaci di ripristinare questo senso.
Uno degli stratagemmi utilizzati è l’inserimento di appositi sensori a livello delle dita protesiche.
A oggi esistono due principali varianti di queste protesi ed entrambe richiedono più di un contatto per dare modo al cervello di capire con che oggetto ha a che fare: la protesi con sensori ad alta sensibilità posti nei polpastrelli e quella con sensori a bassa sensibilità distribuiti lungo le dita.

Un team di ricerca del Massachusetts Institute of Technology ha pensato di fare una sintesi delle due strategie, creando un prototipo a tre dita composto da un endoscheletro rigido ricoperto da un tessuto morbido di silicone trasparente che incorpora due sensori per dito, uno in cima e l’altro a metà. Chiamati GelSight, questi dispositivi contengono una telecamera e tre led colorati.

Gli ideatori hanno posizionato le telecamere perché i loro raggi di azione si sovrappongano leggermente, fornendo un’immagine più completa dell’oggetto toccato. Intanto i led si attivano illuminando le dita dall’interno e fornendo all’algoritmo di intelligenza artificiale contenuto nella protesi impulsi luminosi da elaborare per identificare l’oggetto toccato. Il tutto con un solo contatto.

La protesi presenta altre caratteristiche interessanti. In primis la sua doppia natura, rigida e morbida, le conferisce da una parte la forza di sollevare oggetti pesanti e, dall’altra, la delicatezza necessaria per interagire con un oggetto flessibile, come una bottiglia di plastica vuota, o fragile, come una persona anziana. Idealmente questa protesi potrebbe consentire all’utente di accudire soggetti fragili con la giusta delicatezza.

Il dispositivo è stato stampato in 3D all’interno di uno stampo, per evitare di utilizzare elementi di fissaggio o adesivi per tenere il silicone in posizione. Per quanto riguarda la forma delle dita, è leggermente arcuata, così che a riposo la protesi assuma una forma più simile a quella della mano.

La ragione dietro a questa scelta è però funzionale: i ricercatori hanno infatti voluto ridurre il numero di rughe che si creano sul silicone quando le dita vengono piegate, senza eliminarle, però, perché hanno scoperto che queste rendono il silicone più durevole nel tempo.

Anche se il prototipo funziona, il team sta già pensando di migliorarlo, per esempio aggiungendo un palmo sensibile o migliorando l’hardware per ridurre ulteriormente l’usura del silicone e far eseguire al pollice una più ampia varietà di attività. Il progetto è stato finanziato anche dal Toyota Research Institute, dall’Office of Naval Research e dal SINTEF BIFROST project.

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